Ventiduesima puntata di Alina canterina

STORIA DI ALINA CANTERINA, DEI SUOI SIMPATICI AMICI E DI UN SOGNO di M. Varago

GENNARO E GIGGINO:- LUI E’ MIO CUGGINO! – VENTIDUESIMO CAPITOLO

Era notte. Alina scivolò fuori dal terrazzo e salì sulla grondaia  e con mosse agili e graffiate giunse sopra il tetto. Voleva stare sola. Le piaceva tanto abitare nella casa di Ulrica ma la nostalgia per la mamma e i suoi fratelli era forte e ogni tanto usciva dal suo cuoricino come un tornado che soffia forte e le onde del mare si alzano, alte, alte… Ecco, si sentiva così e aveva bisogno di piangere, di esprimere quella forte emozione. Tutt’intorno era tranquillo e si udiva solo qualche miagolio lontano. L’Arena era meravigliosa vista da lassù e la luna, sembrava una fata incantata che con la sua bacchetta magica faceva dei meravigliosi scintillii d’argento, toccando quelle pietre antiche. Lo scenario era così incantevole che Alina si perse ad ammirare questa magia e dimenticò la sua pena, concentrata come un eremita quando medita.

Era notte. Alina scivolò fuori dal terrazzo e salì sulla grondaia  e con mosse agili e graffiate
giunse sopra il tetto. Voleva stare sola.

– E’ bello, vero?… Io vengo tutte le notti quassù. –

Alina ebbe un sussulto ma non si spaventò. Conosceva quella voce alle sue spalle.

– Oh sì, è davvero uno spettacolo unico – rispose, mentre continuava immobile a guardare l’Arena e Piazza Bra, davanti a sé.

Plato si avvicinò e si fermò di fianco a lei. Continuarono così, vicino l’uno all’altra ad ammirare il panorama notturno mentre in cielo piroettava un astro luminoso.

 Guarda! C’è una stella cadente! Esprimi un desiderio! –

Un singhiozzo è tutto ciò che Plato sentì fare alla sua amica. Capì. Le pose una zampa sulla spalla e la consolò. Anche Plato avrebbe tanto voluto rivedere i suoi famigliari, ma c’est la vie*, bisognava andare avanti lo stesso!

   Plato si avvicinò e si fermò di fianco a lei. Continuarono così, vicino l’uno all’altra ad ammirare il panorama notturno mentre in cielo piroettava un astro luminoso.

– Auè ! Ma  guarda, due piccioncini che tubano di notte TU-TU-TU-TUUU – disse una prima voce.

– Hahaha! Mieloosi soono! – replicò una seconda.

Due strani tipi si stavano avvicinando con aria losca e poco raccomandabile. Le nere figure si stagliavano in fondo al tetto e si avvicinavano fra i comignoli scuri.

Plato balzò su e si mise in posizione d’attacco; Alina si girò meravigliata.

– Chi siete? Cosa volete? – chiese Plato battagliero tirando fuori gli artigli.

I due si avvicinarono di più. Ora si distinguevano due gatti: uno era grasso e tondo con due guance che ballonzolavano ad ogni suo passo, gli occhi grossi, grossi che sembravano uscire dalle orbite. L’altro era lungo e smilzo col pelo appiccicato che formava tanti spuntoni; i denti uscivano all’infuori, i piccoli baffetti brillavano al chiarore della luna  e gli occhietti erano lunghi e stretti come due fessure. Camminava ondeggiando da destra a sinistra e si muoveva come se stesse eseguendo una coreografia hip-hop.

– Chi siete? Cosa volete? – ripetè perentorio Plato girandosi di scatto e  frapponendosi fra questi ed Alina. Il suo aspetto  in quel momento era nobile e fiero.

Anche Alina si avvicinò al fianco di Plato guardando i due con aria preoccupata e interrogativa.

Auè quagliò! Siamo Gennaaro e Giggino. Lui è mio cuggino! – Disse quello con forte accento meridionale.

I nostri umani c’hanno portato qui da Napoli  per lavoro. Stiamo facendo il nostro primo giro notturno. Voi la connoscete aNnapule? E’ la città chiù bella dello munno!* Napule, come la chiamaiamo noi, è fantascc-teca, col centro storico, il lungo mare e il Vesuvio che sovrasta tutto! La gente sempatica e buona è ! E bbrava che prega San Gennà! Lo conoscete a San Gennà, voi quagliò?-

Così dicendo Gatto Gennaro fece un largo sorriso e continuò : – E’ il santo chiù ‘mportante e io c’ho il nome suo, c’ho! – e mentre lo diceva , tracciò con le braccia un cerchio  dal basso all’alto in modo plateale.

Quindi è impottante anch’egli!- Disse con faccia da stupidotto il cugino Giggino.

– Invece am -mmè, – continuò questo, – me chiamarono a Giggino, per gli amici Giggì! – E fece un saltello, poi un altro e un altro ancora.

-Ah, non baddate a lui! Sta a ballà la tarantella! E’ proprio ‘no scugnizzo! –

–       Auè quagliò! Siamo Gennaaro e Giggino. Lui è mio cuggino! – Disse quello con forte accento meridionale.

Alina e Plato risero di gusto. Erano davvero simpatici e divertenti quei due cugini. Rimasero fino all’alba, a parlare insieme: gli uni di Napoli, gli altri di Verona.

Amicizia era stata fatta! ( Il racconto continua – tutti i diritti riservati)

NOTE: * c’est la vie significa è la vita;

*chiù bella dello munno! significa più bella del mondo!

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